Tu chiamale se vuoi… EMOZIONI!

L’acquisto del biglietto, sabato mattina, il primo atto dovuto per evitare “ingorghi” all’ingresso dello stadio, la partenza “sfrenata” dalla nuova residenza di Selci Lama – poco meno di 33 minuti per arrivare ad Arezzo, trovare l’ingresso al parcheggio di fronte allo stadio Baseball già sbarrato, accedere al parcheggio più lontano ma sicuro dopo la chiesa della Madonna delle Grazie, già pieno ma con un posto libero, per fortuna, – la camminata veloce per giungere prima possibile ai cancelli, mentre già dagli ingressi della curva nord, ancora chiusi, si stanno alzando i cori dei tifosi labronici, la voglia di  non perdere nessun momento di questa snervante attesa, la ricerca del volto amico, inquadrato poi distante, ma presente e le immagini delle fase di riscaldamento già avviata ma prossima alla “chiamata” dei giudici di gara.

Subito sotto di me, l’allegra compagnia dei bambini della Scuola Calcio S. Firmina, con i loro gridi e canti, che trasmettono l’entusiasmo che tutti i bambini sanno trasmetterti, seguendo i cori della curva sud, anche quelli con parole che per quell’età non sarebbero molto educative, ed i loro accompagnatori che li invitano ad evitare cori offensivi, senza peraltro riuscirvi. 

Lo stadio si sta riempendo, con un colpo d’occhio inusuale, per una partita di serie D: l’afflusso tanto atteso ed auspicato, si sta avverando: saremo, a colpo d’occhio, ben oltre le 4.000 persone presenti; poi le stime ufficiali parleranno di “circa 4.500 spettatori” ma guardandomi intorno e vedendo anche tanti bambini, la mia stima personale, ad inizio partita, è di circa 5.000. Ci sono tutti i presupposti per un giorno di festa, ma non dimentico che davanti avremo un avversario ostico, che sputerà l’anima per uscire indenne dal Città di Arezzo, in virtù delle vicende vissute nell’ultima settimana, ma anche per le radici, ormai storiche, di un derby tutto amaranto, con i nostri vestiti di bianco.

Si comincia a configurare la scenografia della curva sud, ed appare il primo striscione: “sotto a chi tocca” mentre comincia a srolotarsi un grande lenzuolo bianco, con l’effige del giudice con la falce; entrano le squadre, si alzano i decibel del canto, mentre centinaia di cartoncini amaranto fanno da cornice; l’attesa è finita, si alzano le note dell’inno, con il canto a centomila decibel dell’inno amaranto, i capitani che si scambiano i convenevoli di rito. La foto degli amaranto di bianco vestiti davanti alla curva sud, i bambini sotto di me festanti.

Tutto è pronto, inizia la partita, continuano i canti, poi la prima palla toccata dagli amaranto livornesi, ed il mio primo fischio; qualche bambino si tappa le orecchie, poi si gira e mi chiede di rifarlo; alla prima occasione lo ripeto, e questa volta mi chiedono come faccio a farlo così forte, e se glielo insegno a fare: in quel momento, la partita passa in secondo piano, perché, quando loro mi chiedono perché l’arbitro fischia, alza il cartellino, giallo o rosso, o urlo al guardalinee di stare in linea, spiego il mio modo di vedere il calcio, e in quell’ora e mezza, con le cento, mille domande (con gli accompagnatori a fianco che ridono e confermano le mie parole), un po’ distratto, ma felice, mi sento un po’ quello che vorrei essere per mio nipote: un nonno amaranto! E quando uno dei ragazzini intorno a me, è riuscito a fare un fischio, un po’ meno forte, ma udibile, dandomi poi il “classico cinque” mi sono sentito orgoglioso!

La partita? Al prossimo commento. Le emozioni, quelle vere della vita, HANNO IL SOPRAVVENTO! Mi scuserà, il buon Lucio, per l’abuso, ma se potete, chiamatele comunque EMOZIONI!  


di Patrizio Blonda