La Storia siamo Noi – Giuseppe Zandonà
Nel 1980 per rinforzare la difesa il presidente Terziani concentra le sue attenzioni su un roccioso libero, appena svincolato dalla Salernitana, che era nato in Libia (Tripoli), ma che era italiano a tutti gli effetti: Giuseppe “Beppe” Zandonà che fin da subito si eresse a leader indiscusso della retroguardia amaranto.
Beppe era il tipico libero arcigno, roccioso, duro e con Doveri formava una delle coppie difensive più temute dagli attaccanti avversari, perché per loro regola principale era che le punte “nemiche” non dovessero segnare e, quindi, grazie anche alle maggiori concessioni dell’epoca a favore dei difensori, non facevano passare nessuno, spesso utilizzando anche le maniere forti.
Grazie al suo temperamento ed alle sue grandi doti di leadership, Zandonà divenne ben presto un idolo dei tifosi aretini, guidando quella difesa che, ancora oggi a distanza di quarant’anni suona come una filastrocca: Pellicanò, Doveri, Zanin, Zandonà, Butti e rappresenta la base degli anni d’oro della gestione Terziani-Angelillo.
Nato calcisticamente nel Monza, per poi passare alla Salernitana, ha vissuto in amaranto momenti importanti e significativi della propria carriera ed ha indossato la nostra gloriosa maglia per ben 203 volte (171 presenze in campionato e 32 in Coppa Italia) con 4 reti all’attivo, vincendo la Coppa Italia di Serie C nel 1981 e vivendo da protagonista la grande cavalcata nel campionato di C l’anno successivo, facendo parte di quella mitica formazione di cui ancora oggi esaltiamo le gesta.
Per Beppe Zandonà i 4 anni (1980-84) ad Arezzo furono anche un trampolino di lancio importante anche perché, poi, trascorse 3 stagioni ad Avellino in serie A (68 presenze) con Angelillo che lo vollè con sè nell’esperienza in Irpinia. Beppe tornò, poi, ad Arezzo nella stagione 1989-90 per disputare un’altra stagione importante e portare la squadra alla salvezza in serie C. Zandonà è sempre stato profondamente legato ad Angelillo tanto che, come detto, i due hanno vissuto insieme le esperienze ad Arezzo ed Avellino.
Beppe, a dispetto di altri compagni, non ha intrapreso la carriera di allenatore o dirigente, ma ha preferito dedicarsi ai piccoli calciatori, che si affacciano al mondo del pallone, cui ha certamente insegnato la voglia, la passione ed il sacrificio di cui lui è stato un emblema assoluto.
*Lei, tra le squadre dove ha militato, ha lasciato un ottimo ricordo ad Arezzo. Come avvenne il suo passaggio dalla Salernitana al club toscano?
“Ci svincolammo dalla Salernitana perché all’epoca la società aveva dei problemi. Mi guardai in giro, c’erano vari club che mi avevano cercato, tra cui appunto l’Arezzo. La loro proposta mi intrigò particolarmente ed accettai di buon grado”.
In cosa consisteva quella proposta?
“Quando arrivai all’Arezzo la società era in C e c’era il progetto di vivere dei campionati importanti. Non certamente da comprimari”.
Ad Arezzo nel 1980/81 avete vinto anche una Coppa Italia di serie C.
“L’anno successivo abbiamo dominato il campionato di serie C. In B abbiamo fatto benissimo, arrivando quinti: un piazzamento che rimane ancora adesso il migliore della storia dell’Arezzo. Il merito di quegli anni credo che non fosse tanto il nostro, ma quello di avere un grande allenatore, Angelillo”.
Un ricordo particolare della sua esperienza ad Arezzo?
“Tanti e tutti. Difficile dirne uno in particolare. Eravamo un gruppo granitico, quello lo ricordo benissimo. Ad Arezzo abbiamo fatto delle annate stupende. Eravamo come fratelli”.
Può farci qualche nome?
“Ricordo Domenico Neri, detto “menchino”, è stato un giocatore che ancora oggi mi fa chiedere come non abbia fatto ad arrivare in A. Come ho detto, eravamo come fratelli, una grande famiglia: dal massaggiatore Giovanni Occhini, che ci teneva su il morale. Eravamo una squadra fatta su misura, da battaglia”.
Un gruppo come si crea?
“La parte preponderante l’ha fatta il risultato. L’altro aspetto fondamentale è stato l’allenatore. Angelillo partiva da un concetto base: era il gruppo che faceva il risultato e non viceversa. Ha cercato di mettere le persone in condizione di fare il massimo, trovando tra l’altro un ambiente tranquillo dove non c’erano teste matte. Piano piano la società in accordo con l’allenatore cambiava due-tre uomini l’anno. In questo modo l’ossatura era quella: Pellicanò in porta, io in difesa e Neri in avanti. Tutte le persone che arrivavano da altre società, anche nomi di un certo peso, rimbalzavano in questo gruppo, proprio in virtù del fatto che c’era una base solida che sapeva come comportarsi con persone che non riuscivano ad integrarsi nel nostro gruppo”. (*tratto da TuttoC.com – Mi ritorni in mente: Giuseppe Zandonà – di Daniele Moscono del 8.11.2015)
Ad Arezzo nello stesso periodo d’oro abbiamo avuto due Giuseppe, uno era Pellicanò ed uno Zandonà: per noi tifosi amaranto uno era ed è sempre stato Pino e l’altro era ed è sempre stato Beppe! Forza Arezzo!!
di David Bondi