La Storia siamo Noi – GIOVAN BATTISTA BENVENUTO

“Signor Metello, vorrei rimanere ad abitare ad Arezzo e mi piacerebbe fare la casa in quel terreno davanti a casa sua, con dietro quell’oliveta incantevole!” e con l’approvazione del suocero, Giovanni Battista Benvenuto fece costruire la sua casa nelle colline della Valdichiana, dove risiede da quasi 50 anni. “Non ho saputo resistere al fascino delle campagne ed ai boschi intorno ad Arezzo – oltretutto sono un appassionato fungaiolo – e, soprattutto, non sono riuscito a stare lontano dalla passione e dalla genuinità del popolo amaranto”.

Quando è arrivato ad Arezzo?

Sono arrivato ad Arezzo nell’estate del 1966 proveniente dal Frosinone, dove avevo disputato dei buoni campionati e dove avevamo vinto il campionato di C, e mi volle il segretario Zampolin, persona eccezionale, squisita e garbata che convinse il Presidente Golia ad acquistarmi.

Quale fu l’impatto con la tifoseria e la città?

Devo dire che l’impatto fu abbastanza particolare. Zampolin mi aveva convocato nella sede dell’Arezzo (che allora era sopra il Bar Amaranto) e cercai un posto per parcheggiare in Via Roma, all’incirca davanti al Bar Morgana; mentre stavo eseguendo la manovra, un tipo mi rubò il posto e subito, da buon genovese – e genoano – misi in chiaro le cose, tanto che parcheggiai, facendo sloggiare l’altra autovettura. Appena entrato in sede, Zampolin mi disse che la notizia dello strano evento si era già sparsa in città!!
Per il resto non posso che avere pensieri e ricordi bellissimi della tifoseria e della città, tanto che da quasi 50 anni ci vivo, vi ho conosciuto mia moglie e ci sono nati e ci vivono tuttora i miei figli.
Il primo anno che arrivai ad Arezzo (66/67) fu molto sfortunato per la squadra perchè, pur contando su un attacco importante – Benvenuto 6 goal, Ferrari 10 reti e Flaborea 10 – retrocedemmo malamente in quanto prendevamo una valanga di reti.

Perchè è andato via e poi è tornato ?

Nel 1968 sono partito perchè mi aveva cercato il Genoa e per un genovese e genoano come me, il richiamo del Grifone era troppo forte e l’Arezzo mi lasciò partire. Poi nell’autunno del 1970 il neo presidente Luigi Montaini mi telefonò perchè il centravanti Perego si era rotto una spalla e nel mercato di novembre – il 20 del mese – tornai ad Arezzo e dal mio arrivo cominciammo ad ingranare, tanto che arrivammo settimi ed io segnai 14 reti, laureandomi capocannoniere della B; era l’Arezzo del famoso trio Incerti, Camozzi e Benvenuto.
Nel 1972 il rapporto con l’Arezzo era finito e, sinceramente, avrei voluto rimanere in B per giocare un altro paio d’anni in cadetteria, ma mi telefonò Dal Cin, che era vice direttore sportivo dell’Udinese, e direttore sportivo al Sottomarina di Chioggia, anch’essa squadra di proprietà di Sanson, patron dei fiuliani. Dal Cin stava allestendo la squadra del Sottomarina per vincere il campionato di serie D e lui ed il Presidente Sanson cercavano in tutti i modi di convincermi ad andare a Chioggia, ma sinceramente mi pareva un declassamento, poi toccando i tasti giusti mi convinsero e quell’anno stravincemmo il campionato ed io feci una stagione pazzesca.

Che tipo di giocatore era ed in che ruolo giocava ad Arezzo?

Ero un centravanti di manovra, che amava giocare soprattutto per gli altri creando spazi e fornendo molti assist ai compagni perché svariavo molto lungo tutto il fronte di attacco, saltavo l’uomo, ero tatticamente intelligente ed avevo una buona tecnica, tanto che devo dire che chi giocava con me segnava molte reti! Tutto ciò avrebbe potuto limitarmi in zona goal, anche se ho avuto annate ottime da un punto di vista realizzativo – nel campionato 70/71 fu capocannoniere della Serie B con 14 reti. Facendo le dovute proporzioni e con una qualità completamente differente, il mio modo di giocare era alla Van Basten, con quei movimenti che aprivano il campo.

Allenatore con cui ha più legato?

Ho avuto la fortuna di essere allenato da grandissimi mister. Maestro Lerici era uno spettacolo da un punto di vista tattico, pareva di vedere Sacchi 20 anni prima perchè facevamo il fuorigioco, cosa che nessuno conosceva, tanto che spesso neanche gli arbitri ed i guardalinee lo capivano; ci allenavamo lavorando solo su determinati spazi del campo, aggredendo i portatori e, spesso, senza palla o con la palla in mano quando nessuno lo faceva. Lerici era veramente un visionario ed un innovatore; ricordo che a Livorno  – 19 febbraio 1967 sconfitta per 2 a 1 – mettemmo in opera il fuorigioco, ma non fu un buon esperimento, tanto che prendemmo solo 2 reti, ma avrebbero potuto farcene 4 o 5.
Tognon per prima cosa era un padre e poi lui era stato un grandissimo giocatore e trasmetteva tutto il suo enorme carisma; mi ricordo che ci mettevano da una parte all’altra del campo e ci passavamo la palla con lanci di 40-50 metri ed il mister aveva un piede fantastico tanto che il pallone ti arrivava nei piedi sempre preciso e senza fare una minima “ondulazione”.
Però, l’allenatore a cui sono più legato è il grande Ballacci – con il quale sono stato anche a Catanzaro – perchè lui, oltre all’aspetto tecnico, aveva un carisma enorme e dava alla squadra una determinazione ed un impulso offensivo senza eguali.

Compagno di squadra con cui ha più legato?

Ho un bel ricordo di tutti i ragazzi con i quali ho giocato nell’Arezzo, ma un pensiero particolare va a Ciccio Graziani, che allora stava esplodendo e che vedevo come un fratello minore – Ciccio è del 1952, mentre Benvenuto del 1942 – ; Graziani aveva una forza, una caparbietà, una resistenza fisica ed una costanza impressionanti e si vedeva già da giovanissimo che avrebbe potuto sfondare nel calcio che conta, doveva soltanto affinarsi tecnicamente, ma ancora ho in mente tutta la pressione che faceva sulla difesa avversaria; penso sia stato il primo giocatore che abbia inventato il pressing offensivo. E ribadisco che Ciccio si è meritato tutto quello che ha raccolto.Mi piace sempre sottolineare di aver avuto al Genoa come compagno di squadra il Grande Angellillo e quelli sono giocatori che rimangono nel cuore e nella mente.

Hai avuto la possibilità di andare in serie A?

Come sapete all’epoca i calciatori contavano poco o nulla e le trattative era gestite esclusivamente dalle società. Specialmente dopo l’anno in cui fui capocannoniere in B (stagione 71/72) si creò l’occasione per andare in una squadra di serie A a fare il centravanti di riserva, ma non se ne fece di nulla.

Ci parla della sua parentesi da allenatore dell’Arezzo?

Nella stagione 89/90 l’Arezzo stava militando in C1 e la squadra, pur composta da ottimi giocatori – su tutti Dell’Anno e Tovalieri – arrancava in modo preoccupante. Allora Giuliano Sili, cui mi lega tuttora una grande e vecchia amicizia e con cui avevo vinto un campionato a Montevarchi, mi chiamò in sostituzione di Magni e mi offrì la panchina amaranto. Accettai immediatamente e non feci altro che mettere in campo una squadra con la maggior qualità possibile e le cose cominciarono a girare nel verso giusto; Tovalieri, addirittura, quell’anno segnò 15 reti, riprendendosi alla grande dal brutto infortunio, e poi partì per altri lidi; oltretutto con Tovalieri e dell’Anno abbiamo anche mantenuto un bel rapporto.
L’anno dopo la squadra venne smantellata per motivi economici e furono venduti molti giocatori; per me era importante e gratificante rimanere ad Arezzo e per questo assecondai le scelte societarie, ma purtroppo la squadra incontrò enormi difficoltà e con Giuliano a metà stagione decidemmo di separarci e subentrò Menchino Neri.
Ho poi deciso di smettere di fare l’allenatore perchè mi sono accorto che, specialmente in serie C, non potevo decidere liberamente, anche nella scelta della formazione e che alcuni giocatori dovevano giocare per forza, quindi, pur a malincuore perchè mi divertiva, ho preferito lasciare il calcio.

Come vede l’Arezzo attuale?

Quest’anno l’ho visto tre volte al Comunale ed ho assistito a tre vittorie e l’ho seguita anche in televisione; la squadra è molto giovane ed eccellono la personalità e le doti tecniche di Cutolo. La squadra giocava un buon calcio e mi dispiace veramente perchè è stata fermata nel momento migliore; non ci fosse stata questa sosta forzata avrebbe potuto ottenere buoni risultati. Devo sottolineare che le carenze individuali sono state ben compensate da una buona organizzazione di gioco.

Cosa pensa della decisione della Lega Pro di giocare?

Seguendo il buon senso si sarebbe dovuto chiudere tutto perchè non si deve e non si può giocare in queste condizioni, senza pubblico e senza una certezza sulla salute dei giocatori. Però hanno prevalso altre motivazioni e, quindi, hanno deciso di giocare.

Mister, le chiedo una curiosità: ma quanto guadagnava un giocatore di B ai suoi tempi?

Un calciatore di serie B nel periodo nel quale giocavo io (fine anni sessanta/inizio anni settanta) guadagna circa 15 milioni di lire all’anno e, per l’epoca, era un ottimo stipendio; l’anno che vinsi il titolo di capocannoniere della B il presidente Montaini mi regalò una Citroen Pallas, che all’epoca (1971) costava 1milione e 200mila lire!
“Voglio sottolineare che non è un caso che moltissimi giocatori vogliano rimanere ad abitare ad Arezzo, perchè è una città bellissima, è accogliente, la gente è simpatica, schietta, scherzosa ed infatti, quando uno ci passa uno o due anni, non vede l’ora di rimanerci per tutta la vita. E così è stato per me!” Come è successo a molti altri prima e dopo il grande Giovanni Battista Benvenuto!!!!

di David Bondi