La Storia siamo Noi – MIRKO CONTE
“Per indossare la maglia dell’Arezzo, bisogna avere carattere, attaccamento, senso d’appartenenza e capire che stai giocando per una grande società”. Già queste parole basterebbero per far capire il carisma e la grandezza dell’uomo, oltretutto pronunciate da un giocatore che ha 131 presenze in serie A e che a 20 anni giocava titolare a San Siro e subito ti accorgi cosa voglia dire vestire l’amaranto del nostro Cavallino Rampante. Mirko Conte per quasi 5 anni ha onorato l’Arezzo ed il ricordo dei tifosi è sempre nitido e fulgido.
Quando sei arrivato ad Arezzo?
Nell’estate del 2004 ero in scadenza di contratto con la Sampdoria e mi incontrai con il direttore Fioretti per venire ad Arezzo, che quella stagione, dopo 16 anni, tornava in B. Purtroppo non ci accordammo ed andai a Messina, ma fu soltanto un arrivederci, tanto che a gennaio il direttore mi ricontattò e firmai per l’Arezzo.
Quale fu l’impatto con la tifoseria e la città?
L’impatto con una città ed una tifoseria come quella amaranto può essere sempre e solo ottimo perchè ci si vive alla grande – tanto che la mia ex moglie e le mie figlie vivono ad Arezzo – ed il pubblico è fantastico. La squadra del 2004/2005 era forte e composta da ottime individualità, ma ha ottenuto la salvezza all’ultimo respiro, mentre l’anno dopo Pieroni fece una grandissima squadra e sfiorammo l’impresa. Ho avuto anche la fortuna di arrivare in un momento splendido perchè c’erano grandi risultati, lo stadio era sempre stracolmo di tifosi esaltati ed trascinanti, la proprietà era una delle più forti della categoria ed era una società che attirava i grandi giocatori.
Che tipo di giocatore era Conte?
Mirko Conte era un giocatore molto attento, concentrato, determinato che amava aiutare i compagni e guidare la difesa. Sono nato come esterno di difesa per poi accentrarmi e trasformarmi in un buon difensore centrale, anche se ad Arezzo ho fatto anche il terzino destro.
Allenatore con cui ha più legato
Sinceramente sono stato bene con tutti quelli che mi hanno allenato, anche se non posso non citare mister Gustinetti con il quale si era creata un’alchimia meravigliosa, che avrebbe dovuto portare alla serie A. La stagione 2005-2006 è stata esaltante, il gruppo era convinto delle proprie forze ed eravamo molto uniti, sia in campo che fuori. Poi ho avuto la fortuna di essere allenato da due dei migliori allenatori di oggi – Conte e Sarri – ed ho appreso molto anche da loro, ma non voglio dimenticare anche gli altri (De Paola, Cuoghi, Fraschetti, Cari e Ugolotti), perchè ho imparato qualcosa da ognuno di loro ed oggi, che ho intrapreso la strada dell’allenatore, tutto torna utile ed importante.
Compagno di squadra con cui ha più legato
Quando sono arrivato ad Arezzo mi sono subito inserito nel gruppo e mi sono affiatato con tutti, ma, pur non volendo dimenticare qualcuno, ho costruito un bel rapporto con Barbagli, che sento e vedo quando torno ad Arezzo dalle mie figlie, con Elvis e poi, l’anno seguente, mi sono stretto molto a Carrozzieri e Bressan. Ma Come ti ho già detto eravamo un grandissimo gruppo che si accorgeva di vivere una stagione meravigliosa, trascinati da un pubblico in festa che riempiva il Comunale ogni sabato; e poi fuori dal campo ci divertivamo da matti, ma sempre con la giusta attenzione.
Partita più importante
In quegli anni ci siamo tolti tantissime soddisfazioni e diventa veramente difficile scegliere; però un posto d’onore lo merita sicuramente la vittoria in Coppa Italia contro il Milan, che da lì a quattro mesi avrebbe vinto la Champions, poi i pareggi a Napoli ed a Torino, le partite contro squadre blasonate come Genoa e Bologna – quell’anno la serie B era una A2 -; nel 2005/2006 mi ricordo con piacere ed orgoglio anche quando espugnammo il Delle Alpi, nell’anno del Gus, e sempre in quella stagione le due vittorie consecutive in trasferta in campi caldissimi come Catanzaro ed Avellino (1-2 e 0-2); furono due partite fondamentali perchè ci dettero la consapevolezza di essere forti, molto forti.
Cosa ci mancò in quel 2005/2006 per andare in A?
Intanto ci mancò un goal per entrare nei playoff (ride ndr), ma a parte gli scherzi è veramente difficile trovare una ragione, anche perchè la squadra aveva dato tantissimo; rimango dell’idea che se avessimo preso parte agli spareggi l’avremmo fatti da protagonisti assoluti…poi con quel pubblico che ci seguiva in massa dappertutto.
Dopo la retrocessione, hai scelto di rimanere in C per 2 anni.
Dopo la retrocessione avevo 33 anni ed avevo scelto di rimanere in città a vivere e mi sarebbe piaciuto riportare in Serie B l’Arezzo anche perchè l’amaranto, stava diventando la mia seconda pelle. Inoltre, il presidente Mancini aveva allestito una squadra per tentare subito la risalita in cadetteria e, pertanto, c’erano tutte le condizioni per fare bene; purtroppo l’annata (2007/2008) non ha girato per il verso giusto e non abbiamo fatto i playoff sempre per il solito goal in meno!!
Come giudichi i tuoi anni ad Arezzo?
Sono stati anni importanti da un punto di vista tecnico ed umano perchè, come ho già detto, giocare ad Arezzo è un privilegio e mi è sempre piaciuto insegnarlo ai più giovani. Nel 2005-2006 siamo stati protagonisti della più importante stagione della storia dell’Arezzo (insieme all’annata 1983/84) e mi rimugina il pensiero che se l’anno dopo la squadra non fosse stata smantellata, compreso il mister, avremmo potuto lottare ancora per la serie A.
Perchè sei andato via ?
Sinceramente le strade si sono divise in modo consensuale anche perchè mi fu fatto presente che l’Arezzo non avrebbe più puntato su di me, ma sarei rimasto volentieri per terminare la carriera nella mia squadra ed in quella che stava diventando la mia città. Forse, però, non tutti si ricordano che il primo anno di serie D – 2010/11 – ci fu un tentativo di riportarmi in amaranto, per avere un giocatore che facesse da guida ai giovani, ma, nonostante io fossi contento della possibilità, all’ultimo momento l’allenatore si oppose perchè mi riteneva troppo ingombrante per una squadra nei dilettanti; invece sarei stato un valore aggiunto anche soltanto per trasmettere ai compagni la mia aretinità.
Segui l’Arezzo attuale?
Da quando ho lasciato l’Arezzo, ho sempre seguito con passione le sorti degli amaranto e mi è dispiaciuto moltissimo sia il fallimento del 2010 sia la telenovela che si era creata poco tempo fa (2017/2018) ed i personaggi che si sono avvicendati intorno all’Arezzo. Adesso credo che il Presidente La Cava sia un soggetto forte e voglioso di far bene e mi fa piacere che al suo fianco ci sia il Direttore Pieroni, che conosce il calcio come pochi in Italia; ti devo dire che mi farebbe piacere che ci fosse una certa tranquillità e continuità e che l’imprenditoria aretina, che gode di molte realtà importanti, stesse più vicina alla città e che ci fossero più fatti e meno parole.
Aneddoto particolare
Ho tanti aneddoti che mi vengono alla mente, ma che non posso raccontare perchè rimangono e rimarranno cose da spogliatoio; però mi piace ricordare che ogni volta che segnavamo, specialmente in casa, ci abbracciavamo tutti e dicevamo: “dai ragazzi, portiamo a casa la vittoria che poi andiamo a festeggiare!”
Ti rivedremo ad Arezzo?
Negli ultimi anni ho accumulando buone esperienze in panchina – come assistente -, sto partecipando al Master di Uefa Pro ed ambisco in futuro a fare il primo allenatore. Sarebbe un onore poter sedere sulla panchina amaranto anche perchè porto l’Arezzo nel cuore e Arezzo rimane una città nella quale si può fare calcio in modo ottimo. Poi da qui sono sono passati tanti allenatori che hanno avuto una carriera importantissima.
Quando una persona, a distanza di tanti anni, ancora incarna lo spirito amaranto, non possiamo che sperare che torni al Comunale e rivedere quella famosa scritta “Con il rosso non si passa”. Grazie Mirko e forza Arezzo!
di David Bondi